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venerdì 30 novembre 2007

Questa la devo proprio dire!!!

SE IL MONDO NON SI VERGOGNA LO FACCIO IO PER IL MONDO

Facendo un Giro in giro (come diceva qualcuno!! “Crocodile Dundee – 1986”) sui vari blogs, siti internet e home pages dei vari motori di ricerca ho potuto notare, con grande vergogna e non stupore, che si affaticano tutti a mettere in grande mostra tutte le loro virtù e quelle di questo mondo (macchine, moto, trova amici, trova amori, donne nude, donne nude e non che si offrono, provoloni e sfruttatori, politicizzati da quattro soldi che senza neanche sapere di cosa parlano però lo debbono fare perdendo così l’occasione di stare zitti, gossip ridicoli a tutto spiano e tanto falso moralismo, mobbing on-line da parte di tanti blogger tendente a screditare o ad allontanare altri blogger che non la pensano come loro, e chi più ne ha più ne metta). Un grande motore di ricerca ha fatto partire un concorso sul tema dell’”ambiente” e su come i blogger possono cambiare il mondo. Io personalmente non ho partecipato (non sono all’altezza), ma, nel mio piccolo (ed è qui che lavoro), penso che il mondo vada cambiato partendo dalle radici, preservandole, curandole e facendo in modo che crescano sane e forti e non sfruttandole ed uccidendole.
Queste radici sono presentate su questo video, che prego a voi tutti di diffondere il più possibile, perché penso veramente che i blogger possano cambiare il mondo in meglio

E’ semplicemente vergognoso che nel terzo millennio l’essere umano (se così lo possiamo ancora definire), per poter vivere, debba sfruttare i bambini
Scusate lo sfogo, ma questo lo dovevo proprio dire!!!!!

giovedì 29 novembre 2007

Venere - Venus Express - Spettrometro Virtis

VENERE
L’occhio italiano di Venus Express scopre i segreti del “gemello bollente” della Terra
(29 novembre 2007 – Fonte INAF)

Venti a 400 chilometri orari, luce fluorescente ad alta quota, un doppio vortice che si estende per 3.000 chilometri al polo Sud di Venere. Sono questi alcuni dei risultati più importanti ottenuti dalla missione Venus Express presentati in una conferenza stampa alla sede parigina dell’Agenzia Spaziale Europea, ESA. Scoperte importanti, lo dimostra il fatto che la rivista Nature esce con un numero speciale in cui sono raccolti ben 9 articoli fondati sui dati forniti dalla sonda negli ultimi mesi. Ed importante anche il contributo italiano alla missione, con ricercatori dell’INAF e la Società Galileo Avionica. Ideato e realizzato nel nostro Paese grazie all’Agenzia Spaziale Italiana, lo spettrometro VIRTIS, montato sulla sonda, ha fornito agli astrofisici i dati per studiare in dettaglio l’atmosfera di Venere ed il suo micidiale effetto serra, che porta il suolo del pianeta a temperature di centinaia di gradi. Risultati e studi che gioveranno senz’altro anche ad una migliore comprensione dei meccanismi che regolano quella del nostro Pianeta.

Il vortice atmosferico sopra il polo Sud di Venere ripreso da VIRTIS

Immagine composita del polo Sud di Venere ottenuta da VIRTIS nel luglio del 2007. Le zone chiare mostrano la luminescenza dell'ossigeno nell'alta atmosfera dell'emisfero non illuminato del pianeta


Temperature sulla superficie intorno ai 450 gradi centigradi, un’atmosfera di anidride carbonica e con una pressione 90 volte maggiore di quella terrestre, venti che spirano a centinaia di km l’ora e nuvole di acido solforico. Ecco il “biglietto da visita” di Venere, un pianeta considerato, per le dimensioni e la composizione solida, “gemello” della Terra e reso così inospitale da un intenso e irreversibile effetto serra. Per conoscere meglio questo ambiente e magari aiutarci ad evitare in futuro di rivivere uno scenario simile sulla Terra, l’Agenzia Spaziale Europea ha lanciato nel novembre del 2005 la sonda Venus Express, che da oltre un anno sta trasmettendo una mole enorme di dati raccolti dai suoi sofisticati strumenti di bordo, tra cui VIRTIS, lo spettrometro ad immagini nell’infrarosso in gran parte ideato, progettato e realizzato in Italia da ricercatori dell’INAF e dalla Società Galileo Avionica del Gruppo Finmeccanica per conto dell’Agenzia Spaziale Italiana. I primi risultati della missione sono stati presentati al quartier generale di ESA a Parigi nel corso una conferenza stampa, anticipando di poche ore la pubblicazione del numero odierno della rivista Nature, interamente dedicato alle scoperte scientifiche ottenute finora da Venus Express. E dei 9 articoli che costituiscono il volume, 2 sono stati realizzati grazie ai dati raccolti da VIRTIS e in cui hanno avuto un ruolo di primo piano i ricercatori dell’Istituto di Astrofisica Spaziale e Fisica Cosmica e dell’Istituto di Fisica dello Spazio Interplanetario dell’INAF coinvolti nel progetto.
Per la prima volta studiati in grande dettaglio la struttura e i movimenti dell’atmosfera di Venere in prossimità del polo sud, ed i particolare del doppio vortice, una suggestiva struttura che modella le nubi in quella regione fino a formare una gigantesca “esse” rovesciata che si estende per quasi 3.000 chilometri, la distanza tra Sicilia e Scandinavia. VIRTIS ha ricostruito la mappa termica tridimensionale del vortice evidenziando, fatto curioso, una temperatura al polo maggiore che all’equatore.
“Le misure effettuate sul vortice al polo sud ci hanno riservato non poche sorprese” commenta Giuseppe Piccioni, Principal Investigator di VIRTIS. “Infatti abbiamo scoperto che l’atmosfera al polo sud ruota più velocemente di quella al polo nord, così come risulta dalle indagini condotte negli anni passati da altre missioni. In generale poi tutta l’atmosfera di Venere si muove molto velocemente, compiendo una rotazione completa in meno di 3 giorni a causa di venti in quota fortissimi, che superano i 400 chilometri orari, e molto variabili. Un fenomeno ancora non ben compreso che viene chiamato “super rotazione”.
VIRTIS ha anche permesso di osservare dettagliatamente fenomeni di luminescenza e fluorescenza nel guscio più esterno dell’atmosfera di Venere, tra 90 e 120 km dal suolo. Ciò è dovuto ai raggi ultravioletti emessi dal Sole che dissociano o eccitano le molecole di anidride carbonica, lasciando in quest’ultimo caso gli atomi di ossigeno liberi di ricombinarsi tra loro. Quando questo avviene al di sopra dell’emisfero non illuminato, viene emessa parecchia radiazione infrarossa che “illumina” il buio della notte di Venere. Nel lato diurno invece, a causa della fluorescenza, è un po’ come se Venere si trasformasse in una enorme lampada “a basso consumo” che emette una “luce” molto intensa ma non visibile dall’occhio umano.
“Le indagini su Venere sono tutt’altro che concluse” prosegue Piccioni. “Sempre grazie alle riprese di VIRTIS stiamo ricostruendo una mappa della temperatura superficiale del pianeta per capire se c’è presenza di attività vulcanica. E il prossimo ambizioso passo è quello comprendere e di ricostruire, per via matematica, i meccanismi che hanno prodotto l’effetto serra “galoppante” che osserviamo oggi su Venere. Per avere preziose indicazioni anche sull’evoluzione dell’atmosfera terrestre, aiutandoci così a preservare – si spera - la vita sul nostro Pianeta”.
“Risultati di questa importanza” dice Sylvie Espinasse dell’ASI “sono oggetto di grande soddisfazione per l’Agenzia che ha saputo identificare nello sviluppo degli spettrometri un filone di eccellenza dell’industria spaziale italiana. In effetti, VIRTIS di Venus Express è figlio di VIMS-V, attualmente operativo sulla sonda Cassini in orbita intorno a Saturno ed è il fratello gemello dello strumento VIRTIS a bordo della sonda ESA Rosetta. Infine è molto simile allo strumento VIR a bordo della sonda NASA Dawn. Attraverso un investimento tecnologico iniziale, l’ASI insieme all’industria e alla comunità scientifica, ha saputo massimizzarne il ritorno scientifico facendo volare lo stesso strumento su 3 missioni. Inoltre la sua credibilità a livello internazionale ha portato alla selezione di un altro spettrometro italiano a bordo della sonda NASA Juno che sarà lanciata verso Giove nel 2011.

Lo Spettrometro VIRTIS (Visible and Infrared Thermal Imaging Spectrometer) completamente assemblato, prima di essere integrato sulla sonda Venus Express

Supernova SN2006jc - Galassia UGC 4904

SUPERNOVA SN2006jc
Un lampo, poi la fine. Un bagliore nel cielo annuncia con due anni di anticipo l’esplosione di una Supernova
(14 giugno 2007 – Fonte INAF)

È un fenomeno mai osservato in precedenza: in una remota galassia, un “lampo” luminoso della durata di alcuni giorni, seguito a distanza di due anni da una esplosione di Supernova. I due eventi sarebbero stati prodotti dallo stesso oggetto celeste, una stella di almeno 60 volte la massa del nostro Sole giunta alla fine del proprio processo evolutivo. La scoperta, pubblicata oggi su Nature, è opera di un’équipe internazionale di astronomi, molti dei quali italiani e dell’INAF. Determinate anche il contributo fornito dai dati raccolti dai telescopi dell’INAF.

Supernova SN2006jc (contrassegnata dal cerchio rosso)


Era il 16 ottobre 2004 quando Koichi Itagaki, un astrofilo giapponese, osservando con il suo telescopio amatoriale una remota galassia, UGC4904, vide comparire un oggetto luminoso. Un bagliore effimero: dopo appena qualche giorno, era già scomparso. Ma si trattava solo di attendere. Due anni più tardi, nella stessa identica posizione, a circa 78 milioni di anni luce da noi, ha infatti luogo l’esplosione catastrofica e violentissima di una stella supermassiccia. Esplosione che dà origine alla Supernova SN2006jc.
Mai prima d’ora era stato osservato un evento simile. Un caso, una coincidenza? Oppure, quel lampo poteva essere stato il segnale premonitore— ancora non previsto da alcuna teoria astrofisica —dell’imminente esplosione che segna la fine del processo evolutivo delle stelle di grande massa? Un gruppo di ricercatori dell’INAF, insieme a colleghi europei ed asiatici, ha voluto vederci chiaro. E ha dato immediatamente inizio a una campagna di osservazioni, utilizzando numerosi telescopi sparsi per il mondo — tra i quali quelli dell’Osservatorio Astrofisico di Asiago e il Telescopio Nazionale Galileo alle Canarie, entrambi dell’INAF. Ebbene, il confronto tra le immagini raccolte nel 2004 e quelle del 2006 avvalora l’ipotesi che il lampo del 2004 sia stato emesso dallo stesso corpo celeste che ha generato SN2006jc: una stella di tipo Wolf-Rayet, ovvero una stella supermassiccia — inizialmente pari a 60-100 volte la massa del Sole — giunta nella fase finale della sua evoluzione con un’atmosfera priva di idrogeno.
I risultati di questa inattesa scoperta sono stati pubblicati oggi sulla rivista Nature, in un articolo firmato da un’équipe internazionale di astronomi coordinati da Andrea Pastorello, oggi all’Università di Belfast dopo aver conseguito il dottorato all’Università di Padova. «Il bagliore osservato nel 2004», spiega Massimo Turatto dell’INAF-Osservatorio Astronomico di Padova, uno tra gli autori dello studio, «sarebbe stato prodotto da un enorme aumento di energia associato a una fase di grande instabilità, che ha preceduto l’esplosione finale di SN2006jc. La stella stava perdendo gli strati più esterni della sua atmosfera — in gran parte composti di idrogeno ed elio — attraverso il meccanismo detto “di vento stellare”. La conferma di questo scenario è fornita proprio dalle accurate osservazioni di SN2006jc ottenute con i telescopi dell’INAF. Dai dati si osservano infatti fenomeni di interazione tra il gas espulso ad alta velocità dalla Supernova e quello già presente intorno al corpo celeste prima della sua esplosione, rilasciato a bassa velocità dalla stella nell’evento del 2004».
Ora, gli astrofisici ipotizzano che quello di SN2006jc potrebbe non essere un caso isolato. «Analizzando il nostro vasto archivio di osservazioni di Supernovae», continua infatti Turatto «abbiamo individuato altri oggetti che mostrano caratteristiche simili a quelle di SN2006jc, e che erano stati genericamente classificati come “peculiari” per la scarsezza dei dati. Potremmo dunque essere di fronte ad una nuova categoria di oggetti celesti, oggetti in grado di fornirci nuove indicazioni per migliorare le attuali teorie sulle fasi finali dell’evoluzione delle stelle di grande massa».

Osservatorio di Asiago

mercoledì 28 novembre 2007

Un pò di emozione

STELLE

Un po’ di emozioni con questo bellissimo video e la stupenda canzone di Francesco Guccini (Stelle).
(per ascoltare la bellissima canzone si consiglia di disattivare il sottofondo musicale posto nella colonna sulla vostra destra)
Abbassate la luce, socchiudete gli occhi, rilassatevi e SOGNATE

MAGNIFICO

ora ho appena rifatto pace con il mondo e con il cervello

M15 - NGC 7078

M15
NGC 7078
Peg (Pegasus - Pegaso)
Ammasso Globulare

A.R. 21h30m,0 ; Dec. +12°10’ ; mag. 6,3 ; diametro 12’ ; distanza 30.500 a.l. ;
spettro integrato F3; Mag. assoluta –8,9 ; diametro reale 110 a.l. ; indice di colore B-V 0,68 (intrinseco 0,56) ; eccesso di colore B-V 0,12 ; assorbimento 0,4 mag. ; velocità radiale -110 km/sec..


Scopritore: Jean-Dominique Maraldi
Anno: 1746
Caratteristiche rilevanti: L'ammasso è uno dei più densi conosciuti: il suo nucleo ha subito una contrazione in passato, forse a causa di un buco nero. Questo collasso del nucleo è stato osservato anche in altri ammassi come M30. L'ammasso accoglie anche un notevole numero di pulsar e di stelle di neutroni, resti di stelle massive "morte" durante la giovinezza dell'ammasso. E’ uno dei pochi ammassi a contenere una nebulosa planetaria, Pease 1, nella sua periferia.
Altre designazioni: NGC 7078

Luminoso ammasso globulare (sorgente di raggi X), rintracciabile con il più piccolo aiuto ottico 4°,2 a nord-ovest di ε Peg; lo si può trovare circa 13° a nord dell’ammasso globulare M2. Nel raggio di soli 20’ da centro di quest’ammasso vi è una stella di mag 5,9 una di mag 7,4 e una di mag 7,7: la prima è di colore bianco-azzurro, le altre due tendono rispettivamente al giallo-arancio e al giallo; quest’ultima è prospetticamente situata a meno di 7’ dal centro di M15, cioè appena oltre le sue più deboli propaggini esterne. Attraverso un binocolo 10 x 50 M15 si presenta come un globo di luce sfocata; appare screziato e granuloso in un telescopio di 10-12 cm, per poi iniziare a rivelare le sue singole stelle con un’apertura di 15-18 cm. Uno strumento di 30 cm consente un’osservazione veramente magnifica dell’intero oggetto, anche se il centro dell’ammasso, a causa dell’elevatissima densità stellare, è di risoluzione difficile: occorre un seeing inferiore ad un secondo d’arco, di modo che le stelle rimangano assolutamente puntiformi applicando ingrandimenti fino a 250-300 x. La metallicità di quest’ammasso è molto bassa: appena lo 0,7% di quella del Sole.

M14 - NGC 6402

M14
NGC 6402
Oph (Opiuchus - Ofiuco)
Ammasso Globulare

A.R. 17h37m,6 ; Dec. -3°15’ ; mag. 7,6 ; diametro 12’ ; distanza 33.500 a.l. ;
spettro integrato F8; Mag. assoluta –9,3 ; diametro reale 110 a.l. ; indice di colore B-V 1,28 (intrinseco 0,70) ; eccesso di colore B-V 0,58 ; assorbimento 1,7 mag. ; velocità radiale -120 km/sec..


Scopritore: Charles Messier
Anno: 1764
Caratteristiche rilevanti: La sua luminosità è equivalente a quella di 400.000 soli, contiene centinaia di migliaia di stelle anche se la concentrazione di stelle al centro dell'ammasso è relativamente bassa. L'ammasso contiene più di 70 stelle variabili. Nel 1938, una nova è apparsa nell'ammasso
Altre designazioni: NGC 6402

Un ammasso globulare rintracciabile senza grosse difficoltà 7°,8 a sud di β Oph, ad esempio tramite un comune binocolo 10 x 50. Come già segnalato, la zona di cielo occupata dalla costellazione di Ofiuco appare spesso piuttosto povera di stelle, in quanto la presenza di polveri e gas presso il piano galattico finisce per mascherare buona parte delle stelle che al contrario, qui verso il centro della nostra Galassia sarebbero numerosissime. A riprova di ciò, l’assorbimento della luce di M14 è pari a circa 1,7 mag; come a dire che, lungo i 33 mila anni luce di spazio esistenti tra noi e quest’ammasso, vengono assorbiti i 4/5 della sua luce. E’ invece interessante notare che la Mag assoluta ce lo evidenzi come uno tra gli ammassi gloubulari più brillanti in assoluto della nostra Galassia. Quest’oggetto si mostra tuttavia piuttosto debole all’osservazione visuale; inizia infatti a lasciarsi risolvere in stelle solo attraverso uno strumento sui 30 cm di diametro. Si ottengono risultati fotografici discreti con una focale di circa 500 mm, buoni con una focale attorno ad un metro, ed ottimi con una lunghezza focale ancora doppia, fornita da un telescopio riflettore di 30 o 40 cm.

M13 - NGC 6205

M13
NGC 6205
Her (Hercules - Ercole)
Ammasso Globulare

A.R. 16h41m,7 ; Dec. +36°28’ ; mag. 5,9 ; diametro 17’ ; distanza 23.500 a.l. ;
spettro integrato F5; Mag. assoluta –8,5 ; diametro reale 110 a.l. ; indice di colore B-V 0,69 (intrinseco 0,67) ; eccesso di colore B-V 0,02 ; assorbimento 0,1 mag. ; velocità radiale -250 km/sec..


Scopritore: Edmond Halley
Anno: 1714
Caratteristiche rilevanti: Nel 1974 fu fatto un tentativo simbolico di inviare un messaggio verso altri mondi. Per celebrare un consistente ampliamento del radiotelescopio da 305 metri di Arecibo, un messaggio in codice di 1.679 bit fu trasmesso verso M13.
Altre designazioni: NGC 6205

Si tratta del famoso grande ammasso di Ercole, la cui fotografia è spesso presente nei libri divulgativi di astronomia; è facilmente localizzabile tra η e ζ Her. Dalle latitudini italiane M13 è l’ammasso globulare più agevole da risolvere in stelle in quanto, rispetto alla media degli altri globulari, è di luminosità intrinseca molto elevata, non è situato ad una distanza troppo grande, presenta una concentrazione di stelle positiva, ci passa quasi sopra la testa, cioè là dove il cielo è più trasparente. Le sue stelle più brillanti sono giganti rosse di mag intorno a 12,0. Un telescopio di 11-12 cm di diametro ne fornisce un’immagine più “granulosa”, mentre la risoluzione in stelle inizia con uno strumento di 13-15 cm, ancor meglio se a rifrazione cioè costituito da lenti. M13 diviene assolutamente spettacolare attraverso un’ottica di 30 cm, mentre l’osservazione offerta da un telescopio di apertura ancora doppia è veramente impressionante ed indimenticabile. Fotografie interessanti già a partire da 300 mm di focale, fino a giungere a risultati semiprofessionali con una focale di 2-2,5 metri.

M12 - NGC 6218

M12
NGC 6218
Oph (Opiuchus - Ofiuco)
Ammasso Globulare

A.R. 16h47m,2 ; Dec. -1°57’ ; mag. 6,6 ; diametro 14’ ; distanza 18.000 a.l. ;
spettro integrato F7; Mag. assoluta –7,7 ; diametro reale 75 a.l. ; indice di colore B-V 0,82 (intrinseco 0,63) ; eccesso di colore B-V 0,19 ; assorbimento 0,6 mag. ; velocità radiale -45 km/sec..


Scopritore: Charles Messier
Anno: 1764
Caratteristiche rilevanti: M12 si dirige verso di noi alla velocità di 16 km/sec
Altre designazioni: NGC 6218

M12 può venire rintracciato senza difficoltà 5°,7 a sud-est di λ Oph: si tratta di un ammasso globulare quasi gemello di M10, che si trova 3°,3 ancora in direzione sud-est. E’ visibile con facilità attraverso un binocolo 10 x 50, mentre diventa un oggetto interessane e parzialmente risolto in stelle in un telescopio dui 15 cm di diametro. Pur trattandosi di un ammasso globulare, la concentrazione di stelle presso il suo centro non è tra le più esasperate, motivo per cui lo si può ammirare risolto pressoché completamente con uno strumento di 30 cm, applicando ingrandimenti piuttosto spinti; occorre un cielo sufficientemente buio e trasparente e – soprattutto – un seeing adeguato. Fotograficamente, lavorando sul formato 24 x 36, si può riprendere M12 insieme al gemello e prospetticamente vicino M10 con una focale tra i 300 ed i 500 mm; le migliori immagini sono tuttavia appannaggio di un telescopio con una lunghezza focale superiore ad 1,5 metri. Ottime a questo proposito le riprese effettuate su un buon sensore CCD, in grado di evitare la completa saturazione delle stelle presso il centro dell’ammasso che affligge invece le classiche fotografie su pellicola.

M11 - NGC 6705

M11
NGC 6705
Sct (Scutum – Scudo)
Ammasso Aperto

A.R. 18h51m,1 ; Dec. -6°16’ ; mag. 5,8 ; diametro 14’ ; distanza 5.600 a.l. ;
Mag. assoluta –6,6 ; età 220 milioni di anni (spettro B8) ; diametro reale 23 a.l. ; stella più luminosa di mag 8,0 ; indice di colore B-V 0,52 (intrinseco 0,10) ; eccesso di colore B-V 0,42 ; assorbimento 1,3 mag. ; velocità radiale +20 km/sec..


Scopritore: Gottfried Kirch
Anno: 1681
Altre designazioni: NGC 6705

Si tratta di uno degli ammassi aperti più ricchi e spettacolari, che richiede soltanto un cielo di qualità almeno discreta al fine di controbilanciare la sua posizione non particolarmente alta sull’orizzonte. Situato 1°,8 a sud-est di β Sct, è già ben evidente attraverso un binocolo 10 x 50, molto staccato dal campo stellare circostante: a prima vista assomiglia ad un ammasso globulare, osservato però con uno strumento più potente. La visione diventa veramente stupenda ed interessantissima con uno binocolo 20 x 100, facilmente in grado di rivelare tutt’intorno la complessità di questa zona di cielo, piena di chiaroscuri dovuti ad enormi volumi occupati da polveri e gas interstellari freddi che screziano,interrompono e soffocano il denso tappeto luminoso costituito da innumerevoli stelle deboli della Via Lattea: M11 infatti si trova presso il bordo sud della grande nebulosa oscura B 111. Anche un telescopio di 20-30 cm di diametro può offrire un’immagine assolutamente mozzafiato di questo luminoso ammasso, a patto di non eccedere con gli ingrandimenti: le stelle più brillanti sono di colore bianco-azzurro e arancione. Ottime fotografie con una focale dai 300 mm in su.

sabato 24 novembre 2007

M10 - NGC 6254

M10
NGC 6254
Oph (Opiuchus - Ofiuco)
Ammasso Globulare

A.R. 16h57m,1 ; Dec. -4°06’ ; mag. 6,6 ; diametro 15’ ; distanza 14.500 a.l. ;
spettro integrato F8; Mag. assoluta –7,5 ; diametro reale 60 a.l. ; indice di colore B-V 0,92 (intrinseco 0,66) ; eccesso di colore B-V 0,26 ; assorbimento 0,8 mag. ; velocità radiale +70 km/sec..


Scopritore: Charles Messier
Anno: 1764
Altre designazioni: NGC 6254

E’ rintracciabile con facilità attraverso uno strumento grandangolare, come ad esempio un binocolo 10 x 50, circa 13° a sud di κ Oph, appena 1° ad ovest di 30 Oph. M10 è situato in una zona del cielo apparentemente piuttosto povera di stelle, ma che in realtà risente in maniera significativa dell’assorbimento interstellare operato dalle polveri della nostra Galassia, da cui piano equatoriale – anzi dal cui centro – in effetti quest’ammasso globulare non dista prospetticamente poi molto. Costituisce una splendida coppia con il vicino e quasi identico ammasso globulare M12, situato 3°,3 verso nord-ovest, che però è circa 3500 anni luce più lontano. Bell’oggetto in uno strumento di 15 cm di diametro, attraverso cui risulta già parzialmente risolto; M10 è splendidamente osservabile in un telescopio di circa 30 cm. In fotografia, sfruttando il formato 24 x 36, una focale sui 400 mm consente di catturare contemporaneamente sia M10 che M12, inquadrandoli bene in un’unica suggestiva immagine. Una focale decisamente superiore isola quest’ammasso, permettendo di risolvere meglio le sue singole finissime stelline; ideale un riflettore di 30-40 cm, con focale di 2-2,5 metri.

M9 - NGC 6333

M9
NGC 6333
Oph (Opiuchus - Ofiuco)
Ammasso Globulare

A.R. 17h19m,2 ; Dec. -18°31’ ; mag. 7,9 ; diametro 9’ ; distanza 22.500 a.l. ;
spettro integrato F3; Mag. assoluta –7,4 ; diametro reale 60 a.l. ; indice di colore B-V 0,94 (intrinseco 0,58) ; eccesso di colore B-V 0,36 ; assorbimento 1,1 mag. ; velocità radiale +220 km/sec..


Scopritore: Charles Messier
Anno: 1764
Caratteristiche rilevanti: in M9 sono state scoperte 19 stelle variabili
Altre designazioni: NGC 6333

Un ammasso globulare un po’ oscurato da gas e polveri interstellari, in quanto visibile in una direzione non molto lontana dal centro galattico. Esso infatti è parzialmente interessato dalla nebulosa oscura B64 (cioè Barnard 64, dal catalogo di 349 nebulose oscure redatto dallo statunitense Edward Emerson Bernard nel 1927) che, essendo più vicina a noi, ne maschera in parte la luce. Con un binocolo 10 x 50 lo si identifica, circa 3°,4 a sud-est di η Oph, simile ad una debole macchia sfocata. M9 richiede aperture piuttosto generose per iniziare a mostrare singolarmente le sue stelle: si ottengono visioni soddisfacenti con un telescopio sui 25 cm, sotto un buon cielo. Benché si tratti di un denso ammasso globulare, la concentrazione di stelle attorno al centro è piuttosto limitata rispetto alla media di questi oggetti: ciò rende possibile la sua risoluzione pressoché completa in stelle utilizzando uno strumento di circa mezzo metro di diametro. In fotografia, benché sia possibile registrare quest’ammasso anche con la più modesta attrezzatura, si ottengono immagini interessanti con una focale attorno al metro, e risultati splendidi con uno strumento di focale doppia.

M8 - NGC 6523

M8
NGC 6523
Sgr (Saggitario)
Nebulosa ad Emissione con Ammasso Aperto

A.R. 18h03m,8 ; Dec. -24°23’ ; mag. 4,6 ; dimensioni 1°30’x40’ ; distanza 5.200 a.l. ;
Dimensioni reali 14 x 60 a.l.


Scopritore: Le Gentil
Anno: 1747
Altre designazioni: NGC 6523

Nebulosa ad emissione soprannominata “Laguna” (“Lagoon Nebula”), contenente il giovanissimo ammasso aperto NGC 6530 le cui caratteristiche sono: mag. 4,6; diametro 15’; Mag assoluta -7,5; età 2 milioni di anni (spettro O5); diametro reale 23 a.l.; stella più luminosa mag 6,9; indice di colore B-V 0,14 (intrinseco – 0,2); eccesso di colore B-V 0,3; assorbimento 1,0 mag; velocità radiale -10 km7sec. Oggetto facilissimo sotto un buon cielo attraverso un minimo di ausilio ottico, come un binocolo 10 x 50. Situato circa 5° ad ovest (cioè verso destra) di λ Sgr, M8 appare già interessante e dettagliato in un grosso binocolo 20 x 100; osservazione notevole con un telescopio di circa 20 cm, attraverso il quale questa nebulosa rivela la sua trama assai irregolare e tormentata; si può utilizzare un filtro Deep-Sky, oppureUHC (“Ultra High Contrast”). Prima ancora di un grande telescopio, tuttavia, necessita un cielo quanto più possibile scuro, trasparente e con poca umidità, come in montagna. In fotografia, la resa è già interessante con un piccolo teleobiettivo di 135 mm, mentre una focale di 60-90 cm costituisce l’ideale per mantenere sul formato 24 x 36 l’intera nebulosa. Se si lavora con materiale bianco e nero, è raccomandabile l’uso di filtri rossi o addirittura Hα, in grado di accrescere in misura notevole il contrasto e l’incisione dell’immagine.

M7 - NGC 6475

M7
NGC 6475
Sco (Scorpione)
Ammasso Aperto

A.R. 17h53m,9 ; Dec. -34°49’ ; mag. 3,3 ; diametro 1°20’ ; distanza 780 a.l. ;
Mag. assoluta –3,8 ; età 220 milioni di anni (spettro B8) ; diametro reale 19 a.l. ; circa 80 stelle di cui la più luminosa di mag 5,6 ; indice di colore B-V 0,15 (intrinseco 0,09) ; eccesso di colore B-V 0,06 ; assorbimento 0,2 mag. ; velocità radiale -15 km/sec..


Scopritore: Tolomeo
Anno: 130 d.C.
Altre designazioni: NGC 6457

E’ l’oggetto più meridionale catalogato da Messier: nonostante ciò, è talmente luminoso che risulta molto evidente sotto un cielo non troppo velato da umidità e smog ed inquinato da luci artificiali; in queste condizioni è inoltre facilissimo da rintracciare 6°,2 ad ovest di ε Sgr. Nel campo di un binocolo 10 x 50 fa coppia con il vicino ammasso aperto M6, situato soltanto 3°,8 a nord-ovest, rispetto al quale risulta però molto differente in quanto nettamente più esteso, meno concentrato ed immerso in uno dei campi di stelle in realtà più densi della Via Lattea; M6 è comunque 2,5 volte più lontano da noi. M7 si trasforma in uno splendido oggetto attraverso un binocolo 20 x 80; si tratta di uno degli ammassi aperti più cospicui del cielo, benché non appaia tale dalle latitudini italiane perché penalizzato da un’altezza troppo ridotta durante il transito a sud; persino da Ragusa non si alza più di 18°,3 sull’orizzonte, mentre da Bolzano si limita ad un’elevazione di appena 8°,8. Charles Messier – sul cui orizzonte parigino M7 non poteva alzarsi più di 6°,3 – pur lamentadosi della “foschia spessa prodotta dal fumo di quella popolosa città”, avvistò M7 persino ad occhio nudo.

M6 - NGC 6405

M6
NGC 6405
Sco (Scorpione)
Ammasso Aperto

A.R. 17h40m,1 ; Dec. -32°13’ ; mag. 4,2 ; diametro 15’ ; distanza 2.000 a.l. ;
Mag. assoluta –5,1 ; età 50 milioni di anni (spettro B5); diametro reale 9 a.l. ; circa 80 stelle di cui la più luminosa di mag 6,2 ; indice di colore B-V 0,28 (intrinseco 0,13) ; eccesso di colore B-V 0,15 ; assorbimento 0,4 mag..


Scopritore: Hodierna
Anno: 1654
Altre designazioni: NGC 6405

Se non si trovasse così basso sugli orizzonti italiani, quest’ammasso aperto sarebbe annoverato come uno dei più belli in cielo. A causa della particolare disposizione delle sue luminosissime stelle è soprannominato “Butterfly”, cioè “Farfalla”. I colori contrastanti delle componenti più brillanti – alcune azzurre ed altre arancioni – lo hanno anche fatto soprannominare “Jewel Box”, cioè “Scrigno dei gioielli”, sebbene tale appellativo appartenga più esattamente all’ammasso aperto NGC 4755, di fatto visibile soltanto da latitudini australi della Terra a Declinazione -60°20’. Vale assolutamente la pena di fuggire almeno una volta dalla foschia e dalle luce della pianura, in quanto un’osservazione effettuata in montagna può rendere un po’ di giustizia allo splendore di quest’ammasso aperto, sia attraverso un binocolo potente che con un telescopio di medie dimensioni, utilizzato comunque ad un ingrandimento medio-basso. M6 è prospetticamente posto a soli 3°,5 dal centro della nostra Galassia, in una zona oscurata da polveri e gas; è facile da rintracciare 3°,8 a nord-ovest dell’ammasso aperto M7, a sua volta agevolmente localizzato 6°,2 ad ovest di ε Sgr.

M5 - NGC 5904

M5
NGC 5904
Ser (Serpente)
Ammasso Globulare

A.R. 15h18m,6 ; Dec. +2°05’ ; mag. 5,7 ; diametro 17’ ; distanza 25.000 a.l. ; spettro integrato F5; Mag. assoluta –8,8 ; diametro reale 120 a.l. ; indice di colore B-V 0,71 (intrinseco 0,68) ; eccesso di colore B-V 0,03 ; assorbimento 0,1 mag. ; velocità radiale +50 km/sec..


Scopritore: Gottfried Kirch
Anno: 5 maggio 1702
Altre designazioni: NGC 5904

Un luminoso ammasso globulare facilmente rintracciabile 7°,5 a sud-ovest di α Ser, ben visibile attraverso un binocolo 10 x 50. Ad appena 23’ dal suo centro vi è la stella 5 Ser, di mag 5,0 la cui distanza è di 80 anni luce; pertanto, essa è oltre 300 volte più vicina a noi di M5. Come la maggior parte degli ammassi globulari più luminosi catalogati da Messier, anche questo inizia a risolversi in stelle, almeno in periferia, con uno strumento di 13-15 cm. Spettacolare la resa visuale ottenibile attraverso un riflettore di 30 cm di diametro, in presenza di un buon seeing. La densità nei pressi del centro di quest’ammasso globulare è così elevata, che la completa risoluzione in stelle è riservata all’osservazione tramite un telescopio di circa un metro di diametro, oltre al fondamentale aiuto di un seeing molto buono. Nella fotografia a media o lunga posa, la notevolissima concentrazione di stelle trasforma il centro dell’ammasso in un’immagine praticamente bianca e uniforme, in quanto sovraesposta; questo problema non affligge invece le riprese tramite CCD, se opportunamente trattate, data la latitudine di posa particolarmente ampia che caratterizza questo tipo di sensore.

M4 - NGC 6121

M4
NGC 6121
Sco (Scorpione)
Ammasso Globulare

A.R. 16h23m,6 ; Dec. -26°32’ ; mag. 5,9 ; diametro 26’ ; distanza 6.800 a.l. ;
Mag. assoluta –6,8 ; diametro reale 50 a.l. ; indice di colore B-V 1,03 (intrinseco 0,68) ; eccesso di colore B-V 0,35 ; assorbimento 1,1 mag. ; velocità radiale +65 km/sec..


Scopritore: De Chéseaux
Anno: 1746
Caratteristiche rilevanti: M4 contiene più di 100.000 stelle, circa la metà delle quali è concentrata in 8 anni luce dal centro. Il 10 luglio 2003 lo Hubble ha scoperto un pianeta orbitante attorno a un sistema binario, formato da una pulsar, PSR B1620-26, e da una nana bianca. Questo pianeta extrasolare, PSR B1620-26c, viene chiamato anche Matusalemme, a causa della sua età stimata: avrebbe, infatti, circa 13 miliardi di anni.
Altre designazioni: NGC 6121

L’indice di colore B-V intrinseco di questo ammasso è di 0,68, paragonabile quindi a quello degli altri ammassi globulari: ciò rende M4 più rosso della media – il suo indice di colore B-V misurato è di 1,03 – è l’assorbimento interstellare, dovuto a rarefattissimi polveri e gas. M4 è infatti visibile in una direzione non molto lontana dall’Equatore Galattico, oltre tutto nella densa zona delle costellazioni di Ofiuco e dello Scorpione. Nonostante il suo notevole diametro apparente, in quanto si tratta dell’ammasso globulare più vicino, i valori della magnitudine assoluta e del diametro reale stanno ad indicare che in realtà si tratta di un oggetto tra i più piccoli della sua categoria. Lo si rintraccia con molta facilità tramite il minimo ausilio ottico, a patto di osservare sotto un cielo sufficientemente trasparente: M4 infatti è situato appena 1°,3 ad ovest della luminosa stella Antares (α Sco). Se il cielo è limpido e buio, l’ammasso si lascia risolvere con aperture di 15-20 cm, anche se vi è da tener presente che esso no si alza mai sull’orizzonte sud di più 17° (a Bolzano) o di 26°,6 (a Ragusa). Belle fotografie a cominciare da una focale di 300 mm, ottime da un metro in su.

M3 - NGC 5272

M3
NGC 5272
CVn (Canes Venatici – Cani da Caccia)
Ammasso Globulare

A.R. 13h42m,2 ; Dec. +28°23’ ; mag. 6,3 ; diametro 16’ ; distanza 32.500 a.l. ;
spettro integrato F7 ; Mag. assoluta – 8,7 ; diametro reale 150 a.l. ; indice di colore B-V 0,69 (intrinseco 0,68) ; eccesso di colore B-V 0,01 ; assorbimento 0,0 mag. ; velocità radiale – 150 km/sec..


Scopritore: Charles Messier
Anno: 1764
Altre designazioni: NGC 5272

Un oggetto luminoso e molto evidente in un qualsiasi binocolo, rintracciabile tra α Boo ed α CVn, circa 6°,7 a est di β Com, in una direzione non molto lontana dal Polo Galattico Nord. E’ parzialmente risolvibile in stelle, almeno verso i bordi, già con uno strumento sui 15 cm d’apertura, forzando gli ingrandimenti. Pur trattandosi di un denso ammasso globulare, la concentrazione di stelle attorno al centro non è tra le più elevate in questa categoria di oggetti, di modo che M3 può venire splendidamente risolto fino al centro con un telescopio sui 30 cm. Per questo tipo di osservazione è certo importante la trasparenza del cielo, ma è altrettanto importante la bontà del seeing; bisogna infatti poter applicare con utilità ingrandimenti piuttosto spinti, al fine di riuscire a separare il più possibile le stelle tra loro. Per la stessa ragione, nella fotografia convenzionale o con un CCD, i risultati migliori si ottengono con una focale superiore ad 1,5 metri. Una ripresa tramite CCD consente anzitutto di abbreviare il tempo di posa, quindi di raggiungere una magnitudine più elevata; occorre tuttavia prestare particolare attenzione affinché ciò no accada a discapito del potere risolvente.

M2 - NGC 7089

M2
NGC 7089
Aqr (Acquario)
Ammasso Globulare

A.R. 21h33m,5 ; Dec. -0°49’ ; mag. 6,5 ; diametro 13’ ; distanza 37.000 a.l. ;
spettro integrato F3; Mag. assoluta – 9,0 ; diametro reale 140 a.l. ; indice di colore B-V 0,67 (intrinseco 0,61) ; eccesso di colore B-V 0,06 ; assorbimento 0,2 mag. ; velocità radiale – 5 km/sec..


Scopritore: Jean-Dominique Maraldi
Anno: 11 settembre 1746
Altre designazioni: NGC 7089

Un oggetto facile per comuni binocoli, rintracciabile 4°,7 a nord di β Aqr, in alternativa si può fare riferimento ad α Aqr, spostandosi verso ovest di 8°,1. M2 si rivela parzialmente risolto in stelle con un telescopio di circa 20 cm di diametro, mentre attraverso un riflettore (il cui obiettivo è cioè formato da uno specchio) di 30-40 cm diventa una visione veramente molto bella. La concentrazione e la densità delle stelle attorno al centro di questo notevole ammasso globulare sono particolarmente elevate, per cui la capacità di risolvere la sua zona centrale è riservata ad un grande telescopio, ad alto ingrandimento e in condizioni di ottimo seeing. Fotografabile con facilità, è già interessante con una focale di 400 mm; risultati molto buoni con una focale di 1,5 metri, ottimi con una focale di 2-2,5 metri. La metallicità di quest’ammasso, definibile come la quantità di ferro rispetto a quella dell’idrogeno presente nelle sue stelle, è pari ad appena il 2,5% circa di quelle del nostro Sole: questo valore, benché possa sembrare molto basso, rispecchia perfettamente quello tipico degli ammassi globulari la cui età media, come noto, è attorno ai 12-13 miliardi di anni circa.

M1 - NGC 1952

M1
NGC 1952
Tau (Toro)
Residuo di Supernova

A.R. 5h34m,5 ; Dec. +22°01’ ; mag. 8,4 ; dimensioni 6’x 4’ ; distanza 6.300 a.l. ;
dimensioni reali: 11x7,5 a.l.


Scopritore: John Bevis
Anno: 1731
Galassia di appartenenza: Via Lattea
Caratteristiche rilevanti: Pulsar Ottica PSR B0531+21
Altre designazioni: M1 NGC 1952

L’evento cosmico che l’ha generata è avvenuto circa 6.500 anni prima di essere visibile, cioè circa nel 5400 a.C.
Si tratta della famosa nebulosa “Granchio” (“Crab Nebula”), residuo della supernova apparsa nell’anno 1054. Al suo interno vi è una pulsar, che è una sorgente di onde radio, di raggi X e di raggi γ, visualmente appare di mag. circa 16, ma rapidamente variabile: essa infatti ruota su se stessa oltre 32 volte al secondo. Situata 1°,1 a nord-ovest di ζ Tau, questa nebulosa si rivela in un binocolo 10x50. All’osservazione telescopica, utilizzando ingrandimenti medio-bassi, M1 si presenta in forma vagamente rettangolare, piuttosto luminosa in uno strumento di circa 20 cm di diametro. La visione diretta dei suoi dettagli, in special modo dei filamenti (che si espandono nello spazio alla velocità di oltre 1300 km/sec), non è tuttavia consentita dai normali telescopi amatoriali. Fotograficamente, M 1 balza già evidente e dettagliata con una focale di 300-500 mm, mentre una ripresa eseguita con uno strumento di circa 20 cm e 1,5 metri di focale permette di rivelare particolari fini e molto interessanti, specialmente lavorando in unione ad un filtro rosso. Notevolissimi i risultati ottenibili tramite un CCD accoppiato ad un telescopio sui 40 cm di diametro, con 2-2,5 metri di focale.

giovedì 22 novembre 2007

Musica da Esportazione Universale (MSU)

Spazio: musica sulla Iss, ecco le top ten scelte per gli astronauti
(Fonte Adnkronos 09/07/07 – Esa 09/07/07)



"Rocket Man" - Elton John

Roma, 9 lug. - (Adnkronos) – “Here Comes The Sun” dei Beatles, “Come Fly With Me” di Frank Sinatra e “Rocket Man” di Elton John: la musica arriva sulla Stazione Spaziale Internazionale per deliziare gli astronauti che vivono in orbita, nel primo avamposto umano nello spazio.
A selezionare i brani che à stata Therese Miljeteig, una quattordicenne norvegese che ha proposto all'Agenzia Spaziale Europea una fantastica selezione di brani “fuori da questo mondo” per i nostri uomini in orbita. I brani saranno scaricati su un lettore MP3 e inviati sulla Stazione Spaziale Internazionale (Iss) a bordo del Veicolo di Trasferimento Automatizzato (Atv) dell'Esa all'inizio del 2008.
Per portare note e canzoni sulla Iss, due mesi fa l'Esa aveva chiesto ai giovani di tutta Europa di proporre una selezione di brani musicali particolarmente adatti all'ascolto da parte degli astronauti che vivono a bordo della Stazione Spaziale Internazionale. Dopo avere esaminato oltre 1000 proposte giunte da 10 Stati Membri, la giuria ha reso nota la propria decisione e la selezione scelta da Therese Miljeteig è risultata la più adatta.
Oltre ai Beatles, Sinatra e Elton John, Therese ha proposto “Up Where We Belong” di Joe Cocker e Jennifer Warnes, “Imagine” di John Lennon, “Flashdance” e “What a Feeling” di Irene Cara, “Walk of Life” dei Dire Straits, “Fly” di Celine Dion, “Rockin All Over The World” di Status Quo ed “I Believe I Can Fly” di R. Kelly. Tutti brani che ora entreranno nell'Mp3 spaziale.
"Partecipare a questo concorso come membro della giuria - ha commentato l'astronauta dell'Esa Jean-François Clervoy - è stato molto divertente. Siamo stati affascinati dall'ampiezza del repertorio musicale proposto e anche dalle analogie tra i gusti dei giovani di tutta Europa per quanto riguarda la musica contemporanea e del passato".
Tra le migliori proposte di selezione musicale, infine, c'e' stata anche quella dell'italiana Luisa di Valvasone.

Radiotelescopio EXPReS

Astronomia: partito EXPReS, il radiotelescopio “grande” quanto il mondo
Anche l'italia in pole, con la parabola dell'Istituto di Radioastronomia
Composto di antenne sparse su tre continenti, ha una capacità di osservare i dettagli degli oggetti celesti cento volte superiore a quella degli strumenti oggi esistenti
(Fonte Adnkronos 17/09/07 – iasfbo.inaf 17/09/07)

Roma, 17 set. (Adnkronos) - Se ad Archimede bastava un punto d'appoggio per sollevare il mondo, ai radioastronomi del progetto internazionale EXPReS (Express Production Real-time e-VLBI Service) sono state sufficienti alcune antenne sparse su tre continenti e una rete telematica ad altissima velocità per trasformare il mondo in un unico, enorme, radiotelescopio in grado di produrre dati in tempo reale. Ci sono riusciti ora, per la prima volta, utilizzando sei radiotelescopi distribuiti tra Europa, Cina e Australia, collegati fra loro e al correlatore, un supercomputer situato in Olanda, tramite una rete intercontinentale a 256 Mbit/s. E nel progetto anche l'Italia è in pole.
"Il risultato è strepitoso: la risoluzione ottenuta è equivalente a quella di un solo radiotelescopio con una parabola grande quasi come l'intero globo. E' di fatto un telescopio con una capacità di osservare i dettagli degli oggetti celesti cento volte più accurata di quella dei migliori telescopi ottici oggi esistenti" spiega l'Inaf, l'Istituto Nazionale di Astrofisica tra i maggiori partner del progetto internazionale.
Tra i sei radiotelescopi coinvolti nel test appena realizzato, infatti, c'è anche quello italiano di Medicina, vicino a Bologna. Una parabola da 32 metri di diametro dell'Istituto di Radioastronomia (Ira) dell'Inaf.
"E' stata usata la nostra antenna - spiega Luigina Feretti, direttore dell'Ira – perché è una tra le poche in Europa a disporre di un collegamento in fibra ottica ad alta velocità. Normalmente, per osservazioni Vlbi su scala così grande, occorre salvare i dati su dischi rigidi e poi trasportarli fisicamente in Olanda, al computer che correla tutti i segnali fra loro. Un'operazione lunghissima, che richiede settimane, a volte mesi. Ora abbiamo dimostrato che è possibile farlo in tempo reale".
Il sistema Vlbi (Very Long Baseline Interferometry) funziona un pò come l'Othello, il gioco di strategia in cui si catturano le pedine avversarie chiudendole fra due pedine proprie. Solo che nel Vlbi le “pedine” agli estremi sono due radio-antenne, e tutto quello che si trova in mezzo viene a sua volta trasformato in un'unica enorme antenna virtuale. Dunque, più le due antenne sono distanti, più grande risulterà il radiotelescopio ottenuto.
"Nel caso dell'e-Vlbi (electronic-Vlbi), la configurazione appena sperimentata, - continua l'Inaf - la novità sta nella velocità del sistema: le “pedine” si ribaltano in un istante. Ovvero, le osservazioni dell'immenso radiotelescopio virtuale sono immediatamente disponibili agli astronomi, senza necessità di alcuna attesa per la ricostruzione dei dati". "Così, per esempio, - aggiunge l'Ente di ricerca - durante la fase di test che aveva come “estremi” il radiotelescopio di Medicina e quello di Shanghai, à come se fosse stata dispiegata un'immensa parabola di ricezione che si estende dall'Italia alla Cina".
La prossima tappa del progetto EXPReS prevede di allargare il numero di antenne coinvolte fino a comprendere anche Sudafrica, Sudamerica e Stati Uniti e di utilizzare reti a 1 Gigabit, di cui il radiotelescopio di Medicina è già fornito.
"E' sempre stata un'antenna tecnologicamente all'avanguardia - conferma Luigina Feretti - e ora stiamo applicando le competenze e le tecnologie sviluppate negli anni a Medicina sul nuovo radiotelescopio in costruzione in Sardegna, l'Srt, sempre dell'Inaf", un gigante con una parabola da 64 metri di diametro.

Super Schiuma rinforzata in Kevlar

Spazio: la Nasa studia super-schiuma per lo Shuttle del futuro
Miglioreranno così le prestazioni dei sistemi di protezione termica
Sarà con il Kevlar, il materiale che resiste ad oltre 400 gradi ed è più forte dell'acciaio
(Fonte Adnkronos 23/07/07 – DuPont 23/07/07)

Roma, 23 lug. - (Adnkronos) - Sarà una super-schiuma a rendere più forte e resistente al calore lo Shuttle del futuro. La Nasa, infatti, ha appena avviato un sofisticatissimo studio per la realizzazione di una schiuma isolante rinforzata in Kevlar, lo storico materiale cinque volte più resistente dell'acciaio a parità di peso e capace di proteggere dal calore fino a oltre 400 gradi centigradi.
Con questo obiettivo, la DuPont ha stipulato un contratto con la National Aeronautics and Space Administration per lo sviluppo congiunto di un materiale isolante in uretano espanso rinforzato con la sua fibra Kevlar, da utilizzare nei veicoli spaziali di prossima generazione, fra cui il nuovo veicolo di lancio che sostituirà lo space shuttle.
DuPont e gli scienziati del George C. Marshall Space Flight Center della Nasa in Alabama si dedicheranno in particolare allo sviluppo di un processo che consentirà di integrare la fibra Kevlar® nelle pareti cellulari della schiuma, migliorando così le prestazioni dei sistemi di protezione termica usati ad esempio sul veicolo di lancio con equipaggio Ares 1. Shuttle del futuro ma non solo.
La super-schiuma potrà essere utilizzata in svariate altre applicazioni scientifiche e di esplorazione, dai sistemi Thermal Protection System (Tps) dei veicoli alle strutture gonfiabili considerate le future case dell'uomo per la Luna e Marte.
''I materiali di DuPont hanno reso possibili missioni spaziali con e senza equipaggio per quasi mezzo secolo. Ora la società continua la sua fruttuosa collaborazione con la Nasa per vincere anche le sfide più impegnative'' spiega Thomas G. Powell, vice president e general manager di DuPont Advanced Fiber Systems. ''Siamo impazienti di lavorare con gli scienziati della Nasa – aggiunge - e di offrire il nostro contributo allo sviluppo di sistemi di protezione termica di prossima generazione''.
Lo storico materiale Kevlar è balzato agli onori delle cronache quando sono comparsi i giubbotti antiproiettili, per il suo impiego antibalistico come protezione da proiettili e corpi contundenti. Ma il Kevlar non è andato solo in guerra, al suo attivo tantissimi viaggi in orbita, utilizzato nei programmi spaziali Usa. Tra l'altro, la fibra ad alte prestazioni, cinque volte più resistente dell'acciaio a parità di peso e capace di proteggere dal calore fino a oltre 400 gradi Centigradi, è usata, insieme alla fibra DuPont Nomex, nelle tute spaziali indossate dagli astronauti.
Inoltre, la sonda Galileo in rotta verso Giove è dotata di un paracadute in fibra Kevlar e anche sulla Stazione Spaziale Internazionale è adottato un tessuto in Kevlar che riveste le pareti interne e garantisce una solida protezione dai colpi dei micrometeoriti.
Ma le invenzioni di DuPont che hanno contribuito all'esplorazione dello spazio sono numerose. Basti pensare alle tute spaziali utilizzate nelle missioni Apollo sulla Luna costituite da 20 strati, su 21, di materiali ideati dalla multinazionale, fra cui il film di poliestere Mylar, il neoprene e il film Kapton. Materiali che oggi sono arrivati anche sul pianeta rosso con i robot marziani della missione Mars Exploration Rovers, Spirit e Opportunity, che contengono circa 65 m ciascuno di circuiti flessibili a base di laminati sottili Pyralux e compositi.
Si tratta di materiali fondamentali che collegano i ''cervelli'' dei robot alle loro braccia meccaniche, alle telecamere, alle antenne ultrasensibili, alle ruote e ai sensori. "I robot - spiega la DuPont - sono dotati anche di centinaia di elementi riscaldanti a nastro in film Kapton che regolano la temperatura garantendo il calore necessario per poter svolgere le operazioni nella gelida atmosfera marziana".
Fondata nel 1802 e presente ormai in oltre 70 paesi del mondo, DuPont è una società basata sulla scienza e che la utilizza per sviluppare soluzioni in grado di migliorare la qualità della vita in tutto il mondo, fornendo superiore sicurezza e comfort. Spazio e non solo.
I materiali, prodotti, tecnologie e servizi messi a punto dagli scienziati e dai tecnici della DuPont sono approdati in particolare nel mondo dell'agricoltura e dell'alimentazione, nell'elettronica e nelle comunicazioni, nella sicurezza e nella protezione, nell'arredamento e nel settore delle costruzioni, fino ai trasporti e al mondo dell'abbigliamento.

Space2Land - Workshop Filas

Aerospazio: Filas, cosi' la ricerca ci cambia la vita
(Fonte Adnkronos 30/07/07 – Filas 23/07/07)

Roma, 23 lug. - (Adnkronos) - Dalle tecnologie nate per lo spazio, come l'osservazione della terra, la navigazione satellitare e le telecomunicazioni satellitari, alle loro applicazioni nella vita di tutti i giorni: trasporti e mobilità, territorio e urbanistica, ambiente e sicurezza. Così la ricerca può cambiare il nostro quotidiano, portando innovazione e alzando il livello di sicurezza. Sono questi i temi di cui oltre 200 esperti hanno discusso a Roma, a Space2Land, il workshop organizzato da Filas, la società strumentale della Regione Lazio per il sostegno dell'innovazione.
Per la prima volta circa 200 rappresentanti di aziende di aerospazio, informatica, trasporti, assieme a istituzioni, università ed enti di ricerca si sono confrontati in un'unica sede per avviare un incontro tra domanda e offerta nell'ambito delle applicazioni spaziali. Tra i partecipanti, Autostrade, Finmeccanica, Trenitalia, Atac, Anas, Servizio Ares 118, Presidenza del Consiglio dei Ministri - dipartimento Protezione Civile e circa 150 aziende del Distretto laziale.
Un progetto concreto di sviluppo industriale, quello di Filas, che attraverso questo workshop ha voluto così fornire un contributo consistente per promuovere la nascita di sinergie tra aziende, mercato, atenei e centri di ricerca per la realizzazione di nuovi prodotti e servizi a valore aggiunto.
Secondo studi promossi dall'Unione Europea infatti, la realizzazione del sistema di navigazione satellitare Galileo, alternativo e più avanzato rispetto al Gps americano, permetterà di rispondere ai bisogni di utilizzatori potenziali in qualsiasi parte del mondo, creando un mercato compreso fra 275 e 300 miliardi di euro e di 3 miliardi di utenti. "La realizzazione del progetto - sottolinea Filas - ha un costo valutato intorno ai 32-34 miliardi, ma potrà portare alla creazione di 100 mila nuovi posti di lavoro e a un mercato di apparecchiature e servizi di circa 10 miliardi all'anno".
Una prospettiva di crescita che riguarda direttamente Roma e il Lazio, sedi del primo Distretto Tecnologico Aerospaziale. Un distretto storico, afferma Filas, "che vanta un patrimonio notevole: 5 miliardi di euro di fatturato, 30.00 addetti, 250 aziende che costituiscono realtà significative nelle diverse aree di competenza industriale di settore, 10 importanti Enti/Centri di ricerca, 5 centri tecnologici, 5 Università e 3000 tra professori universitari, ricercatori e specialisti coinvolti in attività di ricerca aerospaziale".
Secondo Stefano Turi, direttore generale di Filas ''la scena internazionale presenta nuovi e sempre più agguerriti competitori, come India e Cina. Sarà perciò importante programmare una strategia competitiva che coinvolga le realtà industriali e amministrative del Distretto".
"Iniziative come Space2Land - sottolinea ancora - costituiscono la risposta a questa necessità e al contempo un naturale sviluppo in favore dell'impegno che, su mandato della Regione Lazio, Filas porta avanti in favore dei processi di innovazione e del trasferimento tecnologico''.

Sukoi 37 (SU37 NATO A.K.A TERMINATOR)

SUKOI 37 (SU37 NATO A.K.A. TERMINATOR)

STUPENDO, SEMPLICEMENTE STUPENDO
AMMIRATELO

A conferma del grande potenziale di sviluppo dimostrato dal Su-27 la Sukhoi ha continuato a sviluppare nuove versioni e una delle ultime è il Su-37 “Terminator” (nome riportato solo dalla stampa russa). Il nuovo aereo è per ora una dimostrazione della tecnologia realizzata modificando la cellula del quinto prototipo del Su-27M (commercializzato come Su-35), contrassegnato col numero 711, la modifica più importante riguarda i nuovi motori Lyulka-Saturn AL-37F da 13.970 kg/spinta dotati di ugelli orientabili (sul piano verticale) di un nuovo disegno con comprensibili vantaggi nell’abbreviare la corsa di decollo, già quasi STOL, e nell’incrementare l’agilità.
Il nuovo velivolo non sembra rispondere ad un requisito del Ministero della Difesa russo e quindi si tratta di una iniziativa privata della Sukhoi, ripagata dal fatto che l’Indian Air Force ha voluto l’introduzione della spinta vettoriale sui suoi Su-30MKI. Per il resto il Su-37 resta uguale al Su-35 che, tra l’altro, è rimasto solo prototipo anche se le innovazioni tecniche da loro introdotte si sono riversate sulle versioni già esistenti del “Flanker” e sono nati i Su-37MK ed MKI che montano sia le alette che i motori con ugelli orientabili ed hanno una spiccata capacita aria-superficie essendo compatibili con tutti gli armamenti disponibili.
In conclusione il Su-27 è diventato un vero e proprio aereo modulare in cui si possono combinare vari elementi per creare versioni sempre nuove adatte per i vari ruoli e paesi.
L’ultima evoluzione, rappresentata dal SU-35/SU-37 Super Flanker, avrebbe dovuto costituire la risposta al nuovo F/A-22 americano, ma quest’ultimo si avvale di una tecnologia, quella Stealth, che l’industria russa non riesce ancora a imitare.

Giugiaro sempre Giugiaro, a Paolo portalo con te!

Spazio: Giugiaro, io designer della Missione Esperia di Nespoli
(Fonte Adnkronos 30/07/07 – Filas 23/07/07)


Roma, 30 lug. - (Adnkronos) - Si è immaginato "a bordo di una navicella spaziale in orbita intorno alla Terra ad osservare lo spazio dall'oblo'". Cosi' Giorgetto Giugiaro, uno dei pionieri del design italiano, racconta come si è ispirato per disegnare il logo della prossima missione spaziale Esperia, che vedrà andare in orbita un altro astronauta italiano, Paolo Nespoli dell'Esa, che sulla Iss porterà un nuovo Nodo a bordo dello Shuttle. Il fondo nero, la scia gialla dello Shuttle, due pianeti e la sagoma della stazione spaziale, in basso il tricolore italiano. Giugiaro il logo di Esperia l'ha visto così.
Descrivendo quindi in dettaglio le diverse immagini che compongono il logo della missione Esperia, Giugiaro aggiunge: "La cometa rappresenta lo Space Shuttle lanciato nello spazio che va a raggiungere la Stazione Spaziale Internazionale creando un legame intimo e consolidato". "Un ponte immaginario – spiega - tra Luna e Marte, tra l'uomo e le sue ambizioni più grandi, tra passato e futuro di questa affascinante e incredibile avventura umana, dove i pianeti sono simbolizzati da due semicerchi nei loro colori tradizionali: uno bianco, l'altro rosso".
"La grafica - sottolinea ancora Giugiaro - è essenziale, semplice, diretta: rimane così facilmente impressa nella memoria dell'osservatore. Gli oggetti posti in prospettiva assicurano una visione tridimensionale della scena. E l'italianità dell'evento sta nella piccola bandiera stilizzata posta accanto al nome Esperia". E anche il nome di questa nuova missione nel primo avamposto umano nello spazio ha un suo significato.
"La missione è stata chiamata Esperia, - spiega l'Asi - dal nome che gli antichi Greci usavano per riferirsi alla penisola italiana. Il nome scelto vuole sottolineare che la missione di Paolo Nespoli sarà una grande dimostrazione di tecnologia italiana, con la consegna del Nodo 2 della Stazione Spaziale Internazionale, costruito in Italia". Da questa missione, sottolinea ancora l'Asi, "deriva un'opportunità della visione dell'Asi e dell'industria italiana, capaci di sviluppare e fornire alla Nasa tre containers pressurizzati (i cosiddetti Multi Purpose Logistic Modules - Mplm) nell'ambito di un accordo bilaterale".
E come risultato dell'accordo, l'Asi ha ottenuto sei possibilità di volo sullo Shuttle. La stretta cooperazione tra Esa e Asi ha fatto sì che questa flight opportunity in particolare fosse affidata a Paolo Nespoli, un astronauta dello European Astronaut Corps. La prima di queste possibilità era stata affidata invece a Umberto Guidoni, che trascorse 10 giorni a bordo della Stazione Spaziale Internazionale nell'aprile del 2000, poi è stata la volta di Roberto Vittori con la Soyuz.

Boeing lancia il terzo Cosmo-SkyMed

Spazio: sara’ ancora Boeing a lanciare anche il terzo Cosmo-SkyMed
(Fonte Adnkronos 28/10/07 – Boeing 01/10/07)


Roma, 1 ott. - (Adnkronos) - Anche il terzo satellite della costellazione duale italiana Cosmo-SkyMed sarà lanciato da Boeing. I servizi di lancio Boeing sono stati infatti scelti per il lancio del terzo satellite Cosmo-SkyMed di Thales Alenia Space, capocommessa del programma dell'Agenzia Spaziale Italiana (Asi). ''Boeing Launch Services è lieta di supportare nuovamente una missione per conto di Thales Alenia Space, leader europeo di soluzioni satellitari'', dichiara Ken Heinly, vice presidente di Boeing Launch Services.
''La dimostrata affidabilità dei Delta II assicurerà - aggiunge Heinly - il successo di un progetto molto importante per l'Italia, sia dal punto di vista scientifico che commerciale e di sicurezza''.
Il Delta II di configurazione 7420-10 consiste di un primo stadio, quattro razzi ausiliari a propellente solido, un interstadio e un secondo stadio. Il Delta II lancerà in orbita il terzo satellite Cosmo-SkyMed dalla base aerea californiana di Vandenberg il prossimo anno, base da cui è partito lo scorso 7 giugno Cosmo 1 e da cui sarà lanciato entro il 2007 anche il secondo satellite della costellazione italiana.
I servizi di lancio Boeing in California forniranno il veicolo e il relativo supporto a United Launch Alliance (Ula), la joint-venture di Boeing e Lockheed Martin attiva nel settore dei lanci spaziali. ''Il lancio del primo satellite della costellazione Cosmo-SkyMed è stato un grande successo per la nostra azienda, sia per il rispetto delle scadenze che per l'affidabilità dimostrata dal vettore Delta II'' dichiara Carlo Alberto Penazzi, amministratore delegato di Thales Alenia Space. ''La nostra collaborazione con Boeing - aggiunge Penazzi - ci fa guardare con fiducia i prossimi lanci del secondo e del terzo dei quattro satelliti del programma''.
Cosmo-SkyMed è un programma per l'osservazione della Terra dallo spazio per uso ''duale'', cioè ad uso civile e militare, che ha lo scopo di monitorare e sorvegliare tutto il globo ai fini di Protezione Civile (Gestione dei rischi ambientali), strategici (Difesa e Sicurezza nazionale), scientifici e commerciali. E' gestito dall'Agenzia Spaziale Italiana (Asi) con fondi dei ministeri della Ricerca, della Difesa e dello Sviluppo Economico e con la partecipazione dell'industria italiana attraverso la società capocommessa Thales Alenia Space Italia e Telespazio.
Cosmo-SkyMed è una costellazione di quattro satelliti in orbita bassa, equipaggiati con sensori radar in banda X per visione ogni tempo, in grado di raccogliere dati di interesse ambientale con elevata frequenza di rivisitazione dei siti e di renderli disponibili all'utenza in tempi rapidi.

Sonda Galileo

Spazio: primo segnale navigazione di Galileo, l’annuncio di Thales Alenia Space
(Fonte Adnkronos 28/10/07 – Giove-Esa.int 07/05/07)


Roma, 7 mag. - (Adnkronos) - Nuovo passo avanti verso l'operatività del sistema di navigazione satellitare europeo Galileo, il sistema che rappresenterà, una volta in orbita e attiva l'intera costellazione, la risposta europea al Gps americano. Dallo spazio è infatti arrivato il primo segnale di navigazione di Galileo dal satellite tester Giove A in orbita. L'annuncio è di Thales Alenia Space che ha confermato l'arrivo del primo segnale di navigazione di Galileo, trasmesso con successo dall'Unita' Generatore del segnale di navigazione (Nsgu- Navigation Signal Generator Unit) di Giove A sviluppata da Thales Alenia Space e dal segmento terrestre Giove.
"Il segmento terrestre della missione, progettato e reso operativo in un tempo record di 12 mesi - spiega l'azienda spaziale - è il risultato di una fruttuosa collaborazione tra l'Agenzia Spaziale Europea e un consorzio industriale guidato da Esnis (European Satellite Navigation Industries, in precedenza Galileo Industies), nel quale Thales Alenia Space gioca un ruolo di primo piano".
Obiettivo quindi del segmento di missione Giove, avviato nel dicembre 2005, è condurre test per validare le principali tecnologie del sistema Galileo, nonché fornire una dimostrazione su larga scala delle sue capacità operative. Attualmente comprende una rete globale di 13 stazioni riceventi dotate di ricevitori Galileo, oltre ad un centro di elaborazione gestito da Esnis presso le strutture Esa-Estec in Olanda.
''Dopo un anno in orbita, abbiamo caratterizzato - ha detto dichiarato Marc Gandara, responsabile del segmento della missione Giove per Thales Alenia Space presso Esnis - il comportamento degli orologi di bordo, studiato le condizioni ambientali della Sensor station e campionato l'algoritmo del segmento di terra, dimostrando che le performance di Galileo in orbita sono realizzabili".
"La generazione e la trasmissione dei segnali di navigazione di Galileo - ha proseguito Gandara- consentirà inoltre, per la prima volta nella storia della navigazione satellitare, il calcolo della posizione usando una combinazione di segnali Galileo e Gps, dimostrando così la completa interoperabilità dei due sistemi.
"Thales Alenia Space, insieme ai suoi principali partner Indra, Gmv, Septentrio, Space Engineering e Science System - prosegue l'azienda - ha contribuito al successo della fornitura delle principali infrastrutture del segmento di missione Giove, così come il fondamentale prototipo di algoritmo che sarà successivamente inserito in tutto il segmento di missione terrestre di Galileo. Il segmento, sotto la responsabilità di Thales Alenia Space, assicurerà e controllerà le prestazioni complessive di Galileo nei confronti dell'utilizzatore finale".
''La realizzazione del segmento terrestre della missione Giove rappresenta - ha spiegato ancora Gandara - una pietra miliare fondamentale nel programma Galileo, in quanto ci consente di stabilire le caratteristiche tecniche necessarie per lo spiegamento operativo di Galileo''.
Leader europeo nei sistemi satellitari e all'avanguardia nelle infrastrutture orbitali. Thales Alenia Space è costituita da Thales (67%) and Finmeccanica (33%) e forma con Telespazio la “Space Alliance”. La società rappresenta un punto di riferimento mondiale per le telecomunicazioni, osservazione della Terra tramite strumenti radar e ottici, difesa e sicurezza, navigazione e scienze. Thales Alenia Space, vanta 11 siti industriali in 4 paesi Europei (Francia, Italia, Spagna e Belgio) con oltre 7.200 dipendenti in tutto il mondo.

Ja fà! Ja fà! Se è Italiano, Ja fà! Forza Paoloooo!!!!

Spazio: erezioni difficili e ormoni in calo, un’impresa l’amore in orbita
(Fonte Adnkronos 28/10/07 – Focus 21/5/07)


Roma, 21 mag. (Adnkronos) - Ormoni maschili in calo, erezioni difficili, maggiore disponibilità della donna, ma anche gravidanze a rischio. Fare l'amore nello spazio è un'impresa davvero difficile, soprattutto per gli uomini perchè nell'assenza di gravità sembrano guadagnarci le donne. A svelare misteri e segreti del sesso nello spazio è Laura Woodmansee, ambasciatrice del sistema Solare per conto della Nasa, giornalista scientifica, moglie di un esperto di razzi e di propulsione interstellare, autrice di tre libri di astronautica, di cui due sulle donne nello spazio, e membro della National Space Society che, nel numero di giugno di “Focus” diretto da Sandro Boeri, punta il dito su un aspetto mai raccontato: il sesso nello spazio. Ecco cosa ha rivelato.
E' davvero possibile fare l'amore in orbita? Qualcuno ci ha mai provato, e, se sì, con quali risultati? E che cosa comporterebbe fare figli nello spazio? La Woodmansee è partita da queste domande, quindi ha preso carta e penna ad ha scritto il libro "Sex in the Space" cercando così di far luce su alcuni ostacoli che l'umanità dovrà superare se vorrà trasferirsi su un altro pianeta in piena colonizzazione spaziale.
"Nessuno si pone queste domande, ma - dice Laura Woodmansee - finché non lo faremo non riusciremo a colonizzare lo spazio. La cosa però non e' piaciuta alla Nasa: il libro vuole rispondere a questioni che i ricercatori si rifiutano di affrontare. E smonta i luoghi comuni sulle gioie del sesso stellare. E' uno studio serio, ma i giornali che ne hanno parlato si sono concentrati solo sui dettagli piccanti. Come l'erezione, per esempio".
"E' probabile che fare l'amore a gravità zero possa essere più difficile di quanto si pensi. L'assenza della forza di gravità – riferisce - ha un effetto rilassante sui vasi sanguigni: il sangue tende a percolare piuttosto che essere pompato con baldanza, perciò e' difficile pensare che un uomo possa raggiungere un'erezione funzionale per la penetrazione. Allo stesso tempo, in queste condizioni le zone erogene femminili tendono a essere più sensibili dato che l'irrorazione sanguigna è più diffusa".
Ed i problemi per i maschi non finiscono qui. "Oltre a perdere potenza e dimensione, l'assenza di gravità - prosegue la scrittrice statunitense - riduce anche la produzione di testosterone, l'ormone sessuale maschile. Le donne invece, sono più avvantaggiate: i tessuti vaginali si possono espandere con maggiore facilità, e gli ormoni femminili sembrano reagire bene alla gravità zero".
E se la stampa ha riservato al libro della Woodmansee un interesse prevalentemente ''voyeristico'', la comunità scientifica, a partire dai dirigenti della Nasa, ha preferito trincerarsi in un ''no comment'' nonostante i risultati delle ricerche della Woodmansee mettano in luce, tra l'altro, difficoltà e pericoli della gravidanza in orbita: "La gravità - afferma la studiosa dell'erotismo stellare - gioca un ruolo centrale nella formazione del feto: in assenza di gravità si potrebbero verificare problemi di natura cardiovascolare, malformazioni degli arti, impedimenti neurologici, problemi dello sviluppo dell'apparato visivo".
"E c'e' il problema - dice ancora - delle radiazioni cosmiche che possono danneggiare il Dna del feto. Nessuno sa quali possano essere gli effetti: malformazioni o aborti spontanei. Gli esperimenti con gli animali (rane e scimmie) non sono stati incoraggianti, gli unici che non hanno avuto problemi sono stati i pesci, probabilmente perchè, vivendo in acqua, sono già abituati all'assenza di peso".
Allora dovremo rinunciare ai viaggi interplanetari? "Le brochure che propongono i viaggi spaziali mostrano persone sorridenti, ma in realtà lo spazio è un ambiente durissimo: ci vorrà molto tempo prima che due innamorati possano tenersi per mano mentre guardano romanticamente il Sole che sorge alle spalle del Polo terrestre" spiega Laura Woodmansee.
"Bisogna prima risolvere i problemi della gravità e delle radiazioni. Forse si dovranno costruire astronavi che ruotano intorno al loro asse centrale per creare un minimo di gravità e dotarle di schermature in grado di bloccare il bombardamento di particelle cosmiche" aggiunge ancora. Quindi assicura: "La tecnologia per risolvere alcuni di questi problemi comunque esiste già".

Onde Gravitazionali

Astrofisica: caccia alle onde gravitazionali, Einstein le previde 91 anni fa
(Fonte Adnkronos 28/10/07 – Focus 21/05/07)


Roma, 28 mag. - (Adnkronos) - E' iniziata la caccia alle onde gravitazionali, il misterioso fenomeno astrofisico previsto da Einstein 91 anni fa e mai osservato finora. Ora a risolvere il mistero ci proverà un esperimento costruito assieme dall'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn) e dal francese Cnrs che aprirà gli occhi, in questi giorni, sull'Universo per cercare di captare questi segnali molto deboli.
Si tratta di segnali provenienti da grandi stelle che collassano o da altri avvenimenti cosmici di grandissima portata come quelli che coinvolgono i buchi neri. A dare la caccia alle onde gravitazionali è Virgo, un sofisticatissimo interferometro appena entrato in funzione all'osservatorio gravitazionale Ego, situato a Cascina Pisa.
Virgo, il più grande interferometro europeo si unisce agli interferometri del progetto Ligo negli Stati Uniti, e a Geo600 in Germania. Sono tutte macchine basate su fasci laser di altissima precisione che rimbalzano per chilometri su specchi perfetti sospesi a strutture di pendoli e contrappesi che impediscono loro la benché minima vibrazione. La collaborazione internazionale che ha iniziato a muovere i primi passi operativi permetterà così di verificare con maggiore certezza l'arrivo di un'onda gravitazionale, la sua origine nel cosmo e la sua struttura.
L'inizio di questa collaborazione è stata celebrata nella sede di Virgo alla presenza del direttore di Ego, Filippo Menzinger, del direttore generale del Cnrs, Arnold Mingus, del vicepresidente dell'Infn, Sergio Bertolucci, del rappresentante della National Science Foundation americana Tony Chan, uno degli ideatori di Virgo, Adalberto Giazotto, del responsabile francese di Virgo, Alin Brillet, del portavoce di Virgo, Benoit Mours, e del portavoce di Ligo, Dave Reitze.
''Questa collaborazione internazionale in una ricerca di base - ha detto Sergio Bertolucci - dimostra l'importanza strategica dell'investimento nella scienza di base. Senza questo tipo di ricerca, nessuna società può restare a lungo competitiva''. Risalgono agli anni 60 i primi esperimenti per individuare le onde gravitazionali. Nel 1989 è stata formulata la prima proposta di creare Virgo, la cui costruzione è iniziata nel 1996. Il costo della struttura italo-francese è di 78 milioni di euro per la sola costruzione. Nel 2003 l'impianto è stato completato e sono stati necessari 4 anni per la calibrazione degli strumenti e dei sottosistemi.

Sonde Pioneer

Spazio: giallo sulle sonde Pioneer anni ’70,
rallentano ma non si sa perche’
(Fonte Adnkronos 28/10/07 – Focus 9/4/07)


Roma, 9 apr. (Adnkronos) - Sono state lanciate agli inizi degli anni '70. E tutti si aspettavano che le sonde Pioneer avrebbero rivoluzionato le nostre conoscenze sul sistema solare e oltre, lanciandosi nel cuore del misterioso spazio interstellare. Al loro interno fu perfino inserito un disco placcato in oro, sul quale era inciso un messaggio di saluto per un'eventuale civiltà extraterrestre che avessero incontrato. Ma nessuno immaginava che, oltre 30 anni dopo, le stesse sonde sarebbero state al centro di un mistero, un vero e proprio giallo scientifico che rischia di mettere in discussione perfino teorie ormai ben consolidate, come la Relatività di Einstein.
Man mano che avanzano, entrambe le sonde Pioneer 10 e 11 perdono lentamente terreno, frenate da una forza misteriosa. Della Pioneer 11, in realtà, dal 1990 non si hanno notizie. La Pioneer 10, invece, in circa 35 anni ha accumulato un ''ritardo'', rispetto a quanto calcolato, di oltre 400 mila km, cioè più o meno la distanza tra la Terra e la Luna. Certo pochissimo, se pensiamo che ha percorso una distanza 40 mila volte maggiore, cioè pari a circa 100 volte la distanza tra la Terra e il Sole (150 milioni di km). Ma abbastanza da mettere in crisi gli scienziati. A rivelare il nuovo giallo che si sta consumando nello spazio è "Focus", diretto da Sandro Boeri, appena arrivato in edicola. Ecco cosa racconta l'indagine del prestigio mensile scientifico.
Le Pioneer, ricorda Andrea Parlangeli sul magazine scientifico, sono una generazione di sonde lanciate a partire dal 1958 per l'esplorazione spaziale. Le più famose sono le ultime due: Pioneer 10 e 11, lanciate il 2 marzo 1972 e il 5 aprile 1973. Hanno studiato con successo Giove e Saturno, per poi spingersi nello spazio interstellare. La Pioneer 10 ha lasciato per prima il sistema solare, e ora si muove in direzione della costellazione del Toro. Già nel 1980, però, John Anderson, astronomo della Nasa al laboratorio Jpl di Pasadena (Usa), si è accorto che una misteriosa accelerazione ne alterava il movimento.
L'accelerazione era diretta più o meno verso il Sole, quindi in realtà si trattava di una decelerazione. Ed era incredibilmente piccola, 10 miliardi di volte inferiore all'accelerazione di gravità terrestre. Il problema, da allora, è stato: qual’è la causa di questa anomalia?
Il primo dubbio è che la decelerazione sia dovuta a un malfunzionamento dei motori. "Ma i propulsori principali sono fuori uso da tempo" dice a “Focus” Michael Martin Nieto, uno scienziato di Los Alamos (Usa) che studia l'anomalia dei Pioneer da anni, in collaborazione con lo stesso Anderson. "Tutto quel che è rimasto – continua - sono i propulsori per le manovre. Per spiegare l'anomalia, però, ci dovrebbe essere una perdita costante di combustibile (idrazina) in una direzione, e non è così che di solito funzionano le perdite". Per di più i numerosi sensori a bordo non hanno registrato traccia di un guasto simile.
Un'ipotesi più realistica, secondo Nieto, è che il problema sia dovuto al calore generato nei reattori nucleari che servono per la produzione dell'elettricità necessaria. Il calore produce, infatti, raggi infrarossi. E questi raggi, rimbalzando sull'antenna (che serve alle comunicazioni radio con la Terra), producono una spinta in direzione opposta, proprio come farebbero tante palline lanciate contro una parete.
Un'altra possibilità, riferisce ancora “Focus”' è che il rallentamento sia dovuto a qualche fattore esterno imprevisto, come potrebbe essere, a prima vista, il vento solare (composto da particelle e radiazioni espulse dal Sole). "Ma la spinta del vento solare sulle sonde si può calcolare ed è trascurabile nelle zone più esterne del sistema solare" spiega Nieto. Allora è forse possibile che ci siano, in quelle regioni così lontane, planetoidi o pianeti sconosciuti, che facciano ''da freno'' con la loro attrazione gravitazionale.
"Ma le osservazioni astronomiche suggeriscono che la quantità di materia presente in questa zona sia troppo bassa per avere un effetto di questo tipo" sostiene Nieto. E anche la presenza di un ipotetico pianeta gigante ancora sconosciuto è da escludere, anche perchè l'anomalia è stata registrata da entrambe le sonde, in direzioni diametralmente opposte del sistema solare. Una volta esclusi tutti i fenomeni fisici noti, si aprono le porte per quelli sconosciuti.
"La causa potrebbe essere la “materia oscura”, che costituisce il 90% della materia presente nel cosmo" dice a “Focus” Mario Di Martino, astronomo all'Osservatorio di Torino. Gli astronomi sono convinti che questa forma di materia esista, perchè quella visibile non basta a spiegare i movimenti delle galassie e la struttura dell'intero universo.
Un'ipotesi alternativa è che la materia oscura non esista e che invece sia la gravità a comportarsi in modo anomalo, cioè non conforme alla Relatività di Einstein, per l'effetto, sulla gravità, di dimensioni nascosto. Ma c'è chi preferisce le ''teorie di dinamica modificata'' (dette anche ''Mond''), secondo le quali nello spazio vuoto, lontano da stelle e pianeti, l'accelerazione di un qualsiasi oggetto non si annulla mai del tutto, ma raggiunge un minimo ben definito.
L'idea fu concepita dal fisico israeliano Mordehai Milgrom, circa 25 anni fa. Ma non ha mai convinto i fisici, perchè contraddice il ''principio di equivalenza'', alla base della Relatività generale. Secondo tale principio, anche oggetti diversissimi tra loro, come una mela e una piuma, in assenza d'aria cadrebbero esattamente nello stesso modo. Altri scienziati hanno cercato di correggere la teoria Mond per evitare queste discrepanze, ma ancora non c'è una soluzione definitiva. Gli scienziati sono perciò alla ricerca di nuovi dati da analizzare.
Purtroppo le altre sonde in giro per lo spazio non sono d'aiuto: sono troppo vicine ai pianeti o al Sole, e sono ''disturbate'' dal loro campo gravitazionale; tutte tranne le Voyager, che però, per come sono costruite, non consentono di determinare in modo preciso la loro posizione.
Proprio per le sue eventuali conseguenze sulle teorie di Einstein, il mistero appassiona gli scienziati, che stanno studiando i vecchi dati inviati dalle Pioneer, a caccia di preziose indicazioni sull'entità e sulla direzione della forza ignota quando le sonde erano più vicine al Sole. C'è anche chi propone di studiare in dettaglio le orbite di corpi celesti remoti, simili a Plutone ma ancora più lontani, per mettere in evidenza eventuali discrepanze con la legge di gravitazione universale. E c'è, infine, l'idea di lanciare una nuova sonda europea per studiare l'''effetto Pioneer''. "E' ancora un'idea prematura - conclude Nieto - ma c'e' un discreto interesse per questa proposta".